LA BAMBINA DI POMPEI È SEMPRE PRESENTE TRA NOI

La poesia è quella cosa che più delle altre mi parla, continuamente da sempre e forse dovrei preoccuparmi quando non sarà più così, proprio per questo motivo ho deciso di condividere qui il testo di questa poesia attualissima scritta nel da Primo Levi (sul quale non c’è bisogno che mi dilunghi) questa poesia si riferisce ad un calco di gesso che Levi ebbe modo di vedere nel sito archeologico dell’antica Pompei (vd. la foto scelta per questo articolo). Prima di lasciare spazio alla poesia scriverò un breve commento, il quale potrà servire da accompagnamento al testo, per poi lasciare lo spazio alla poesia e all’immagine, in modo tale che ciascun lettore potrà farsi una sua opinione, simile alla mia riflessione oppure del tutto diversa o solo in parte uguale. Ho scoperto questa poesia pochi giorni fa mentre seguivo un corso universitario, dunque ho imparato e ora diffondo, come direbbe qualcuno “credo nel potere della condivisione”. Spero che anche il lettore potrà lasciarsi inspirare da questo mondo per scoprire quanto è vasto e meravigliosamente bello, nel quale ci si può soltanto vagabondare ed io ci sto vagabondando da un po’ divertendomi moltissimo. Il bello di questo mondo è trovare il bello anche nel brutto per tentare di scuotere il cuore delle persone anche più fredde e brutali, forse è proprio vero che la bellezza salverà il mondo o almeno io così voglio credere.

Il lettore tipo di questa poesia è una collettività che è chiamata a riflettere per evitare di commettere gli stessi errori del passato, ed è chiamato ad una certa responsabilità. Già dalla prima parte si può comprendere che Levi compie il suo solito processo di identificazione del dolore umano e immediatamente lui crea un’identificazione e un parallelo tra un uomo che non ha mai superato del tutto il trauma della Seconda guerra mondiale e poi un cittadino dell’antica Roma sotto l’eruzione del Vesuvio dell’ottobre del 79 d.C. L’utilizzo del noi è molto importante perché Levi cercherà di rendere il dolore come qualcosa di condiviso, quindi la necessità di parlare con il lettore e renderlo partecipe nel dolore che viene rivissuto, senza l’uso di una retorica che rende difficile la comprensione del testo. Molto bella l’immagine della bambina che si stringe alla madre quasi che volesse ritornare nella serenità dell’utero materno, inoltre tutto viene accompagnato dall’utilizzo del cromatismo nero che accompagna ad una dimensione luttuosa e di morte. Poi descrive il tentativo vano di fuga da Pompei, della bambina e di sua madre in quanto l’aria si era riempita di nubi tossiche e non c’era modo di proteggersi. Levi in un’altra parte della poesia vuole mettere in collegamento la fuga della bambina di Pompei con il riferimento all’olocausto e alla bomba atomica che distrusse le città di Nagasaki e Hiroshima, una similitudine costruita sul fumo nero velenoso della bomba atomica e delle camere a gas dell’olocausto, un fumo denso e tossico come i fumi dell’eruzione Vesuviana. I veleni nell’aria dopo la bomba atomica sono causati non dalla natura e quindi non evitabili, ma dalla evitabile malvagità umana che si sente protettore della vita umana, ma anche colui che può decidere di mettere fine tragicamente alla vita umana, la quale vita umana è già di per sé una tragedia per colpa delle tragedie compiute dalla natura e come se non bastassero a queste afflizioni naturali l’uomo aggiunge altri drammi che lui stesso provoca, solo una delle tre bambine muore per cause naturali invece le altre due bambine muoiono a causa della scelleratezza umana. Levi dice a lettore che prima di sparare o aprire le camere a gas bisogna fermarsi e considerare, e non è la prima volta che usa questa espressione ma lo afferma anche nella poesia “Se questo è un uomo”. Le bambine e i bimbi sono i protagonisti della poesia, Levi cerca di fare leva su questo per far riflettere l’uomo prima di distruggere una vita di una bambina e più in generale prima di commentare tragedie simili, invitando l’uomo a non aggiungere dolore ad altro dolore, di non spegnere l’incendio gettando gasolio ma acqua. La bambina d’Olanda a cui l’Autore si fa riferimento nel testo è Anna Franck, proprio i bambini vivono la tragedia più grandi perché non hanno alcuna colpa se non posso vivere gioiosamente la loro giovane esistenza, ma la colpa è solo di uomini che non riflettono mai abbastanza prima di usare le armi, non si fermano mai a considerare.

Poiché l’angoscia di ciascuno è la nostra
Ancora riviviamo la tua, fanciulla scarna
Che ti sei stretta convulsamente a tua madre
Quasi volessi ripenetrare in lei
Quando al meriggio il cielo si è fatto nero.
Invano, perché l’aria volta in veleno
È filtrata a cercarti per le finestre serrate
Della tua casa tranquilla dalle robuste pareti
Lieta già del tuo canto e del tuo timido riso.
Sono passati i secoli, la cenere si è pietrificata
A incarcerare per sempre codeste membra gentili.
Così tu rimani tra noi, contorto calco di gesso,
Agonia senza fine, terribile testimonianza
Di quanto importi agli dei l’orgoglioso nostro seme.
Ma nulla rimane fra noi della tua lontana sorella,
Della fanciulla d’Olanda murata fra quattro mura
Che pure scrisse la sua giovinezza senza domani:
La sua cenere muta è stata dispersa dal vento,
La sua breve vita rinchiusa in un quaderno sgualcito.
Nulla rimane della scolara di Hiroshima,
Ombra confitta nel muro dalla luce di mille soli,
Vittima sacrificata sull’altare della paura.
Potenti della terra padroni di nuovi veleni,
Tristi custodi segreti del tuono definitivo,
Ci bastano d’assai le afflizioni donate dal cielo.
Prima di premere il dito, fermatevi e considerate.

 

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