LA SPIA DEL DISAGIO GIOVANILE: IL SUICIDIO UNIVERSITARIO

A cura di Andrea Ventura, Lucrezia Pia Iacuzio, Alexandro Catapano

Secondo i dati Istat, circa 4mila giovani si tolgono la vita. Nel 2022, il 28% delle chiamate al “Telefono amico” proviene dai giovani under 25, spesso insoddisfatti della propria vita universitaria. Nel 2020 attraverso diverse ricerche è stata individuata come zona con alto tasso di suicidio dai 15 anni in poi il Nord-ovest italiano, in particolare il Trentino Alto Adige.

Molto di impatto è stato il discorso sulla questione da parte della rappresentante dei 70mila studenti universitari di Padova, Emma Ruzzon, all’inizio dell’anno accademico. Esso critica le profonde contraddizioni che i mass media operano nella narrazione del percorso universitario che celebra ed esalta i casi di eccellenza, di breve durata e di alti risultati, illudendoci che siano normali. “Sentiamo il peso di aspettative asfissianti che non tengono conto del bisogno umano di procedere con i propri tempi, nei propri modi. Siamo stanchi di piangere i nostri coetanei e vogliamo che tutte le forze politiche presenti si mettano a disposizione per capire insieme a noi, come attivarsi per rispondere a questa emergenza, ma serve il coraggio di mettere in discussione l’intero sistema merito centrico e competitivo. Non godere di un reale diritto allo studio pesa sul percorso universitario, così come insiste sulle nostre spalle la costante competizione corrosiva a cui siamo sottoposti e un ragionamento sul benessere psicologico ancora in fase embrionale, che non fornisce nemmeno a tutte le università uno sportello di assistenza e ascolto, e che dove è presente lo vede sotto finanziato. Vogliamo lo psicologo di base”.

Su 300mila richieste per il bonus psicologo, oltre il 60%, pari a 180.000 domande, arriva da cittadini di età inferiore ai 35 anni. Questo testimonia il grido di allarme che i giovani italiani cercano di far arrivare alle istituzioni, che nonostante abbiano deciso di fornire l’opportunità del bonus psicologico hanno dimostrato evidenti carenze nella disponibilità economica alla base dell’iniziativa socio politica.

Un caso di suicidio che ha fatto scalpore è avvenuto nell’Università di Napoli, dove una ragazza di Ottaviano si è tolta la vita per non essere riuscita ad essere in pari con le sessioni d’esame. Lo stesso era successo circa 1 mese prima nell’Università Iulm di Milano, dove una ragazza di 19 anni, Diana, si è suicidata con una sciarpa nel bagno. Un ragazzo di Palermo si è suicidato dopo aver mentito alla famiglia su una finta festa di Laurea.

L’ultimo caso di suicidio universitario è invece avvenuto nella facoltà di Medicina dell’università Gabriele D’Annunzio di Cheti, dove uno studente è stato trovato morto dalla sorella, non prima di aver messo nero su bianco il proprio disagio. Il motivo del suicidio sono gli esami mancanti alla laurea, che lo facevano sentire inadeguato e che lo hanno portato a mentire alla famiglia sull’esito di due esami, che lo hanno probabilmente portato a uno stato di depressione.

Secondo Scuola.Net, che ha condotto un sondaggio tra gli studenti, circa 1 studente universitario su 3 ha affermato di mentire alla famiglia e agli amici riguardo alla sua carriera universitaria, poiché il 32% vorrebbe confessare, ma non trova il coraggio, mentre il 35% è convinto che non si possa più tornare indietro, il 24% teme di cadere in uno stato di disperazione irreversibile che lo porterebbe a tentare un gesto estremo. Per il 46% sarebbe importante far comprendere che una laurea non è sempre sinonimo di successo, mentre solo il 15% crede sia utile rafforzare il sussidio psicologico all’interno degli atenei, mentre il restante vorrebbe un approccio più umano da parte delle Università.

“Ci viene insegnato che fermarsi significa deludere delle aspettative sociali e molto spesso familiari. Fermarsi non vuol dire rimanere indietro. Ma quando è che studiare è diventato una gara?” Non bisogna aver paura di un voto, che non determina la nostra intelligenza e non spiega il nostro percorso di vita, la cosa più importante è credere in noi stessi, con la nostra forza di volontà, che non dobbiamo mai perdere nonostante le difficoltà, e in compenso dobbiamo pretendere e unirci per ottenere una politica che faccia il possibile per eliminare gli ostacoli economici, sociali e giuridici che non tutelano e garantiscono il sacrosanto diritto allo studio.

Sicuramente toccante il discorso di Alessandra de Fazio, presidente del consiglio degli studenti dell’università di Ferrara, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico, di fronte a Sergio Mattarella ed alla ministra Bernini. Afferma così: “Chiediamo che il nostro paese consideri il benessere psicologico un diritto fondamentale dell’individuo al pari della salute fisica, sia con l’introduzione della figura dello psicologo di base, ma soprattutto con una riforma sistemica che decostruisce i pilastri meritocratici. Non siamo più disposti ad accettare un senso di inadeguatezza, depressione o persino suicidi a causa delle condizioni imposte da un sistema malato che baratta la persona per la performance. Non ci dobbiamo meritare di studiare, di avere una casa, delle cure, esigiamo questi diritti.”

Diversi sono stati i commenti sui social in risposta al discorso pronunciato da Alessandra de Fazio, spazianti dalla colpevolizzazione degli studenti giudicati inadeguati allo studio universitario, non volenterosi di far sacrifici e studiare fino al tentativo di comprendere le motivazioni dell’attuale e fortissimo stato di disagio in cui molti giovani studenti si ritrovano.

Essere fuori corso significa essere categorizzati: avere una sessione d’esami distinta dalle altre, una minore o maggiore percentuale di tasse universitarie da pagare, essere condizionati a percepire in maniera costante una distanza invisibile ma reale per alcuni. Significa vedere e sentire la propria vita, le proprie ambizioni ed i propri desideri scorrere ad un ritmo più  lento rispetto a quello altrui, chiedersi costantemente cosa c’è che non va in se stessi, il motivo dei propri fallimenti e avere una visione miope e autodistruttiva della propria esistenza relegata solamente al successo o all’insuccesso universitario, significa sentirsi inadeguati in un mondo che funziona ad una velocità diversa dalla propria, vivere con un costante senso di ansia e tristezza rispetto a quei risultati non ancora ottenuti e percepiti come impossibili, sentendosi così un fallimento a tal punto da non riuscire a dire niente ai propri familiari o amici.

In risposta al disagio che molti giovani vivono quotidianamente lo stato  almeno in un primo momento ha risposto realizzando così una prima proposta dal titolo “bonus psicologo” senza però rendersi conto delle dimensioni reali del fenomeno.  A seguito delle nuove proposte in parlamento quanto prima il bonus psicologo sarà reso strutturale passando così da un massimo di 600 € a 1.500 € che sarà possibile spendere nelle varie sedute di psicoterapia.

 

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