I GIOVANI NON VOGLIONO LAVORARE

A cura di: Alexandro Catapano, Davide Della Guardia, Lucrezia Pia Iacuzio.

In Italia molto spesso viene attribuita ai giovani una scarsa propensione all’impegno nel mondo del lavoro, che causa una difficoltà alle aziende nell’assunzione di nuovo personale. Della serie: “I giovani di oggi non vogliono lavorare”, ma è davvero così?

In Italia, secondo l’Istat, il tasso di disoccupazione giovanile del 2022, è salito al 23,7 %, con un impennata dal 2021 di 1,6 %. Il nostro paese è il terzo dell’UE per tasso di disoccupazione giovanile più elevato (Eurostat). Le motivazioni vanno ricercate, ad esempio, nei bassi salari, diminuiti negli ultimi 30 anni e tra i più bassi d’Europa. L’Italia è l’unico paese in cui i salari sono scesi tra il 1990 e il 2020 del 2,95%, secondo l’organizzazione internazionale del lavoro. Inoltre, nel 2021 è dilagato il fenomeno dei “Neet”, ossia tutti i giovani che non studiano e non lavorano, che rappresentano il 24% della popolazione giovanile. Questo dato allarmante ci riporta anche a un altro fenomeno, ossia quello degli stage non retribuiti, che spingono sempre più giovani a non trovare un lavoro e ad abbandonare la carriera dei loro sogni. In Italia il 15,9% dei dipendenti fa straordinari non pagati e oltre il 25% dichiara di fare straordinari senza essere retribuiti.

Un’altra causa è la cultura gerarchica aziendale, che comporta rigidità e poca possibilità di esprimersi e non si adatta alle esigenze del lavoratore, mettendo al primo posto i bisogni dell’azienda. Tutte queste problematiche confluiscono nel problema del lavoro grigio, condizione secondo cui il lavoratore risulta effettivamente occupato, a differenza invece del lavoro nero, ma subisce una serie di irregolarità, come il pagamento dello stipendio fuori dalla busta paga ordinaria, gli straordinari non retribuiti o turni di lavoro massacranti. È questa la situazione che si trova a vivere la maggior parte dei giovani che entrano per la prima volta nel mondo del lavoro. Ormai è noto come molti nostri coetanei siano stati sfruttati e sottopagati (arrivando a una retribuzione di soli 3 euro l’ora) con turni di oltre 10 ore consecutive.

Con la crisi ambientale, energetica, pandemica e bellica, i costi della vita sono aumentati a dismisura, ma i salari, come abbiamo visto, sono rimasti gli stessi o addirittura diminuiti. Dunque molti giovani lavoratori, con stipendi così esigui, non hanno una prospettiva futura stabile, in quanto non riescono a raggiungere un’indipendenza economica, guadagnando meno di 1000 euro netti al mese (secondo Eures) e non hanno la possibilità di uscire da questo circolo vizioso, non potendo permettersi di perdere il lavoro.

Tuttavia, dobbiamo sottolineare che in Italia i contributi pesano sulle imprese per il 24% del totale, mentre i contributi dei lavoratori per il 7,2% e la tassazione sul reddito per il 14,8%.

Dunque non sono i giovani di oggi a non voler lavorare, ma è il mercato del lavoro obsoleto in cui operano che gli tarpa le ali, non rispettando i diritti alla dignità umana, provando la loro salute sia fisica che mentale.  Non possiamo essere disposti ad accontentarci di posti di lavoro con culture aziendali malsane e privi di valori e bisognerebbe costantemente chiedersi: “Quando si tratta di controlli, di far rispettare i nostri diritti e libertà, che con tanto sudore sono state conquistate, lo Stato dove sta?”

 

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