PAZZO MONDIALE

Mettiamo per un attimo da parte le mille polemiche extra-calcistiche riguardanti i Mondiali in corso in Qatar per concentrarci sulla straordinarietà di questa edizione, che, sportivamente parlando, è finora la più equilibrata di sempre. Di fatti, non esistono quasi partite scontate, neanche quando sulla carta il divario tecnico tra le sfidanti sembra incolmabile; i risultati a sorpresa sono all’ordine del giorno, così come le lacrime di gioia di chi passa il turno e quasi non ci crede, e quelle di rabbia mista a delusione di chi se ne torna a casa nonostante i favori del pronostico.

I gironi ci hanno regalato emozioni a non finire, sorprese che neanche in un universo parallelo avremmo potuto ritenere plausibili. Si pensi, ad esempio, allo storico successo dell’Arabia Saudita sull’Argentina di Messi; alla vittoria degli azzurri samurai giapponesi prima sulla Germania e poi sulle Furie Rosse; alla sconfitta del Galles di Bale e Ramsey contro i semisconosciuti iraniani; al tonfo storico del Belgio della generazione d’oro contro un Marocco affamato ed indomabile; alla debacle francese contro la Tunisia; a quella del Portogallo contro la Corea del Sud e, infine, a quella del Brasile delle seconde linee contro il Cameroon.

Se alcuni di questi risultati sorprendenti sono chiaramente da attribuire alla scarsa concentrazione dovuta alla qualificazione agli ottavi già raggiunta (chiedere a Portogallo, Francia e Brasile), altri sono ben più significativi, e testimoniano un insperato equilibrio tra nazionali che solo fino a pochi anni fa erano lontane anni luce. Nell’ultimo paio di decenni la globalizzazione ha reso il calcio per distacco lo sport più popolare al mondo: fino a non molto tempo fa, ad esempio, in Australia il calcio era quasi del tutto uno sconosciuto, per non parlare del Medio Oriente e degli Stati Uniti, dove il “soccer” è divenuto una realtà solo nell’ultimo decennio. La crescente notorietà del “football”, tuttavia, non è l’unica ragione dell’apparente equilibrio visto finora al Mondiale. Alla base della crescente competitività di nazionali poco quotate vi è la crescente preparazione dei loro tecnici (spesso provenienti dall’Europa), una maggiore consapevolezza dell’importanza della condizione fisica in uno sport di contatto e di corsa, una diffusione veloce di conoscenza relativa soprattutto alla tattica e agli schemi di gioco.

Veder esprimere un bel calcio non solo da parte delle solite nazionali europee e sudamericane ma anche da parte di compagini asiatiche, medio-orientali, nord-americane, africane (anche se alcune di queste sono competitive già da qualche anno: si pensi al Ghana) è un piacere per gli occhi e per lo spettacolo.

Le qualificazioni agli ottavi, tra le altre, di Corea del Sud, Giappone, Marocco e Australia alle spese di nazionali sulla carta ben più forti come Germania, Uruguay, Belgio, Danimarca sono forse solo l’antipasto di una competizione che da oggi, con le eliminazioni dirette, diventa ancor più avvincente.

 

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