NUMERO 105: GIULIA CECCHETTIN

A cura di: Lucrezia Pia Iacuzio e Giusy Esposito

Giulia Cecchettin è stata trovata morta, il cadavere raccolto in un sacco e gettato giù da un dirupo vicino al lago di Barcis a Pordenone.

Speravamo che il suo caso fosse diverso, ma il suo nome è il numero 105 di una lunga lista di donne uccise in Italia dall’inizio del 2023, la maggior parte non uccise da sconosciuti, ma da familiari, fidanzati, mariti o ex, che dicevano di amarle, ma che non facevano altro che tarparle le ali, togliendole libertà, amici, sorrisi e infine la vita.

Ma il caso di Giulia, brucia ancora di più, bagna le gote di tutte le ragazze della sua età, della comunità universitaria nazionale, delle madri che hanno perso figlie nello stesso modo, spinge tutte le donne a dire basta, ad uscire allo scoperto, perché in una società moderna come la nostra, ma soprattutto in una società che si definisce civile non è possibile rassegnarci al femminicidio, alle morti atroci di persone innocenti che l’unico “peccato” che hanno commesso è stato quello di volare troppo in alto, di voler fare carriera, di credere in un amore che ha finito per ucciderle.

Una delle notizie che più ci sconvolge è che il giudice deve ancora pensare se dare o meno l’aggravante di crudeltà, dopo che Giulia è stata picchiata, messa al suolo a furia di calci e pugni, inseguita quando ha provato a scappare dal suo aggressore, che non contento gli ha piantato 20 coltellate nel collo, ha preso il corpo ferito e agonizzante e lo ha caricato nel bagagliaio della sua auto, lo ha trasportato e gettato in un dirupo e ha provato a fuggire.

Filippo Turetta è stato arrestato il 19 novembre in Germania, dopo che aveva evitato la dogana passando per le strade interne di montagna, mentre cercava di fuggire all’estero, dopo aver fatto benzina e aver pagato con una banconota da 20 euro, sporca di sangue, quello di Giulia, che la polizia e i carabinieri hanno cercato per giorni e hanno perso le speranze nel momento in cui hanno trovato vicino al lago la macchina di Filippo, ed affianco una pozza di sangue.

Noi speriamo, avvicinandosi anche la data del 25 novembre, giornata nazionale contro la violenza sulle donne, come tutte le ragazze d’Italia e non solo, che questo non sia l’ennesimo caso giudiziario archiviato con la conclusione che “il ragazzo in quel momento non era lucido, non era in grado di intendere e di volere” perché portarsi dietro un coltello è già un atto di premeditazione e decidere di usarlo contro la vittima  è una conferma della crudeltà che è stata perpetuata ripetutamente, probabilmente dettata da un complesso di inferiorità rispetto alla sua ex, che aveva ambizioni alte e che si sarebbe dovuta laureare il 16 novembre con il massimo dei voti.

La comunità studentesca si è stretta attorno al dolore del padre, della sorella e del fratello di Giulia e ha deciso di concedere a Giulia la laurea ad honorem anche per il brillante percorso svolto fino alla sua scomparsa. Anche il suo comune ha dichiarato per 2 giorni lutto cittadino e molti si sono stretti intorno alla famiglia portando fiori davanti alla sua abitazione.

“Era un bravo ragazzo” così hanno esordito alcune testate giornalistiche sul caso di Giulia. Ed il nostro è anche e soprattutto un appello ai ragazzi della nostra generazione e non solo, bisogna che ci sia un’educazione, bisogna comprendere cosa vuol dire affettività, cosa vuol dire gelosia, come gestire sentimenti senza che si trasformino in escalation di violenza incontrollata che portano a spezzare la vita di un’innocente. La vicinanza al caso di Giulia e delle altre 104 donne non è solo una questione femminile, ma anche e soprattutto maschile, perché se i ragazzi non si sentono toccati dalla frase “gli uomini sono tutti uguali o sono tutti violenti” vuol dire che un problema c’è.

 

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