MAHSA AMINI: UNA DONNA, UN IDEALE

Edward Said, scrittore e docente statunitense di origini palestinesi, in un noto saggio dal titolo “Orientalismo” del 1978, elaborò una teoria secondo cui la cultura europea ha canonizzato l’Oriente attraverso un costante tentativo di dominio a partire dalla determinazione delle immagini che spesso ci vengono in mente quando pensiamo ad un concetto così ampio come l’Oriente e dei discorsi storici, intellettuali e popolari che spesso lo interessano e raffigurano. È un luogo in cui esiste un “altro” a cui spesso, nella nostra vita quotidiana, non prestiamo attenzione ma può far parte del nostro processo di colonizzazione intellettuale interiore che ne determina le funzionalità, i limiti storici e geografici, il valore e l’espressività.

Mahsa Amini è l’altra su cui tutti, attualmente, dovremmo interrogarci. Il 13 settembre 2022 Mahsa Amini viene arrestata dalla polizia religiosa, a Teheran dove si trovava con la famiglia per fare degli acquisti, a causa di una mancata osservanza della legge sull’obbligo dell’hijab, regola istituita nel 1981. La sua vita insieme ai suoi desideri, alle sue speranze, alla sua normalità vede la fine il 16 settembre, dopo essere stata condotta presso una stazione di polizia immediatamente dopo l’arresto e 3 giorni di coma dovuto a circostanze non ancora definite. Ferite riconducibili ad un pestaggio, lesioni cerebrali, emorragie, lividi sulle gambe, fratture ossee e edema sono stati inflitti in nome di una “rieducazione” all’hijab ma di fatto hanno spento la vita di una ragazza di soli 22 anni.

La morte di Mahsa Amini non è qualcosa verso cui possiamo essere indifferenti, come quando ascoltiamo un telegiornale mentre siamo impegnati a fare altro e alle nostre orecchie giungono notizie di persone in difficoltà o morte verso cui non prestiamo attenzione e tutto scorre nella normalità, ma rappresenta un’idea a cui tutti dovremmo dare forza e spazio, un ideale di libertà, uguaglianza ed espressività che dovremmo perseguire, a fronte delle difficoltà che ci pone il quotidiano.

Numerose proteste sono nate in Iran, condotte da donne che non hanno potere di esprimersi quanto e come vogliono, hanno perso diritti civili e politici guadagnati precedentemente e ora lottano per non essere catturate e torturate da un gruppo autoritario illegale ed antislamico. Amnesty International ha chiesto un’indagine sulla sua morte, Anonymous ha fatto la sua parte interrompendo diversi siti web affiliati alla repubblica islamica dell’Iran dimostrando il suo appoggio alla causa.

Mahsa Amini è l’altra a cui finora abbiamo prestato poca o minima attenzione, a cui abbiamo spesso affidato una categoria volontariamente o involontariamente, a cui abbiamo assegnato un limite, ovvero membro di una società lontana da noi per valore e diritto, oltre che la pura e banale distanza geografica. Ma il suo nome non deve esserci indifferente, non può banalmente essere un mezzo attraverso cui noi ci rendiamo conto di quanto siamo privilegiati a livello sociale e politico, nella nostra Europa, culla e strumento di molte nazioni, ma un ideale, uno strumento per farci comprendere quanto la nostra identità non debba essere parte di un “cerchio chiuso” ma relazionata alla moltitudine di realtà esistenti attualmente e quanto sia importante combattere per questa identità, affinché essa sia libera e liberata.

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