Anche per questo articolo ho deciso di scrivere un breve commento ad una poesia di Gozzano, scritta durante la Prima Guerra mondiale. In questa poesia si descrive la Basilica di San Marco a Venezia protetta da eventuali attacchi, un po’ come oggi si sta cercando di fare con le opere artistiche ed architettoniche in Ucraina. Lascio spazio al breve commento e a seguire troverete la poesia, inoltre ho aggiunto la foto che riporta le condizioni della basilica quando la vide Gozzano in modo che tutti possiamo renderci conto della violenza delle guerre che non risparmiano nulla e nessuno.
Quella che descrive Gozzano è una basilica priva delle proprie ricchezze, perché fu messa in sicurezza da eventuali attacchi da parte degli austriaci, protetta con sacchi di sabbia e con legno. La lirica inizia con l’iscrizione presente sull’angelo all’ingresso della basilica di San Marco, il Poeta si trova in uno scenario notturno e vi è un’immagine di splendore anche se non c’è la luna e la basilica di San Marco diventa l’emblema delle splendore della serenissima, il celo continua a palpitare d’oro e la basilica è costellata al suo esterno da mosaici millenari molto antichi e rari. Le fragili transenne che vengono citate nel testo sono i pali di legno messi a protezione della basilica, ricoperta appunto con legno e sabbia che ostruiscono il passaggio della bellezza e del godimento della bellezza della basilica, il senso che trasmette è d’angoscia e paura per gli esiti della basilica e della guerra. Poi spiega quali sono le ricchezze che ornano la bellezza della basilica ma che ora sono allontanati per proteggerli dagli attacchi degli austriaci, immagina che tutti i dogi illustri che hanno governato su Venezia e arricchita la basilica delle proprie ricchezze stiano lì ad osservare la basilica svuotata e ignari della grande guerra si domandano dove sono finite le loro ricchezze, e quali sono i nuovi barbari che minacciano queste ricchezze, non sono gli Unni, i turchi e i Galli, in realtà ora sono gli Austriaci. Il doge si chiede dove siano finte le perle e tutti gli oggetti di culto e devozioni presenti all’interno della basilica, gli risponde un altro dicendo che non vede più l’altare fatto di pietra viva e prezioso fatto costruire da lui e ora non lo vede più e si chiede il perché. L’Autore cita altre famiglie di dogi importanti a Venezia e si domandano se per caso sono risorti i vecchi barbari, sono tornati i soldati a cavallo che rischiano di danneggiare la cattedrale, ma Gozzano non da una risposta a questa domanda retorica e conclude la sua poesia con l’iscrizione dell’angelo come se fosse una preghiera per allontanare il peggio per la basilica. Gozzano si limita a riconoscere che la minaccia dei barbari è come un qualcosa che ciclicamente ritorna, come i barbari hanno saccheggiato nel passato oggi nel 1915 sta succedendo la stessa cosa e Gozzano non sa dare una spiegazione l’unica cosa che si possa fare è pregare per il meglio.
I crepuscolari di cui Gozzano è uno dei massimi esponenti sembravano rappresentare il tramonto della poesia italiana. Basti pensare a D’annunzio o a Pascoli. I crepuscolari non si sentono più né vati né veggenti, scegliendo gli aspetti della vita più umili e miserevoli, la materia della poesia è umile e sommessa. La visione della basilica non è la solita ricca di bellezze e fasti, descrivendo la basilica in contesto di tristezza e mestizia. In questo testo non vi è ne una soluzione nella guerra attaccando il nemico né sperando per il meglio, perché i crepuscolari credono che la vita sia caratterizzata dall’assenza di ogni slancio e entusiasmo senza l’esaltazione della virtù del guerriero come invece accade per i futuristi. La visione della vita per crepuscolari è un’apatia, è un’assenza di voglia di vivere, perché non individuano un qualcosa per cui vivere e riflettono sulla vita credendo che sia come qualcosa di noioso su cui non è possibile intervenire. I crepuscolari sono sempre indecisi, vi è uno stato di profonda malinconia nella loro vita, l’unica arma è il sorriso e lo stesso Gozzano mantiene un equilibrio molto sottile tra ironia e banalità e questa incertezza tra passato e futuro è evidente in questo testo perché egli non riesce ad interpretare né il passato né il presente e neppure il futuro. La tendenza è quella di ridurre la poesia in prosa, non vi è una ricchezza aulica della tradizione poetica, che si abbassa invece ad accettare ciò che è molto vicino al parlato con toni molto umili e sommessi. Un distacco tra la materia letteraria e la vita, una vita che propone brutture e minacce e la letteratura che finora si era fatta portatrice di valori molto importanti e più belli, ora invece si fa portatrice delle brutture della vita reale preferisce descrivere di notte la basilica in cui è assente la voglia di vivere o la speranza. Gli oggetti sono perduti o non rappresentano più nulla e ha nostalgia della presenza di quei oggetti che rappresentavano il benessere di una città e di un’intera nazione.
D’oro si fanno brune le cupole stupende,
ma sotto il cielo illune il cielo d’oro splende.
Splende l’emblema come nel codice ammirando:
Venezia trepidando nel sacrosanto nome.
Sta l’Angelo di Dio, sta col fatale incarco5
lassù “Pace a Te, Marco, Evangelista mio!”
Intorno gli fan coro tutti i Profeti, in rari
musaici millenari. Palpita il cielo d’oro.
Il palpito millenne corre Santi e Madonne;
vivono le colonne, le fragili transenne.10
Ma quale antica Ambascia il Tempio oggi ricorda,
difeso nella sorda materia che lo fascia?
II.
Pei ciechi balaustri, per le navate ingombre
passano grigie l’ombre di tutti i dogi illustri.
Dice uno Zani: Vissi pel tempio apparituro.
Quale nemico oscuro sale dai ciechi abissi?
Dov’è l’icona fine di quattromila perle,5
mirabili a vederle tra l’opre bizantine?
Dove le croci greche, sante in Gerusalemme,
i codici, le gemme, i calici, le teche?
E dice un Selvo: Tolsi i marmi d’oltremare:
posi con questi polsi la pietra dell’altare.10
La Bibbia m’ammoniva. Sculpii divotamente.
La pietra fu vivente: dov’è la pietra viva?
Gli Zorzi i Mocenigo i Vanni i Contarini
i Gritti i Morosini i Celsi i Gradenigo
guatano il legno greggio che cela marmi ed ori.15
– Minacciano i tesori i barbari e il saccheggio?
– Risorgono al reame i Turchi gli Unni i Galli?
Tornarono i cavalli all’ippodromo infame?
III.
Sta l’Angelo di Dio, sta col fatale incarco
lassù “Pace, a Te, Marco, Evangelista mio!”
Santo dei Santi eroi guerrieri e marinai,
o Santo, o tu che fai che “noi si dica noi”,
quale remota ambascia il Tempio tuo ricorda,5
difeso nella sorda materia che lo fascia?
Minacciano i tuoi beni, la Chiesa disadorna
Barbari e Saraceni! Ah! Ciò che fu ritorna!