Sin dalla notte dei tempi, un’emblematica favola di verità della Grecia arcaica ci aiuta a porre l’attenzione su alcuni atteggiamenti che segnano la Storia dell’uomo contemporaneo. I giochi olimpici costituirono un evento religioso e sociale fondamentale per la vita degli antichi. Lo spettacolo di gran lunga superiore a tutti gli altri era quello dei giochi di Olimpia dove, per l’occasione, si recavano tre gruppi di uomini: i primi sono i mercanti, che andavano ad Olimpia per sfruttare la situazione e guadagnare; i secondi, gli atleti, si recavano ad Olimpia per gareggiare, combattere e vincere; il terzo gruppo, invece, giungeva ad Olimpia non per vendere o guadagnare né per lottare, ma per vedere e capire. Sono solo i terzi a compiere il vero pellegrinaggio verso una visione nuova e redenta della verità che, nel suo manifestarsi, affranca integralmente l’uomo da quei mali gravissimi del nostro tempo (come il prassismo, il materialismo sfrenato e il protagonismo assolutistico).
La visione salva coloro che la contemplano, aprendo e innalzando l’uomo alla teoria, all’idea e al concetto. Questi uomini, infatti, partecipano del “sacro fuoco” custodito negli animi dai corpi vigorosi e infaticabili degli atleti. Anche noi, come ricorda il magistero di Sua Santità papa Francesco, dovremmo imparare a trascurare la brama libidica di volerci sentire protagonisti assoluti, malati e inconsapevoli che non tutto dipende da noi. Non c’è affare o “fare” che valga davvero la pena. Bisogna fermarsi, imparare a sostare – continua il papa – facendo silenzio e tornando al cuore delle cose stesse, alla loro essenza, direbbe il fondatore della moderna fenomenologia, Edmund Husserl, così “da non passare dalle corse del lavoro alle corse delle ferie”.
Pier Paolo Pasolini, memore della sua passione calcistica, descrive lo sport come «l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo, […] lo spettacolo che ha sostituito il teatro». Comprendiamo bene come l’attività contemplativa sia soffocata sempre più da coloro che fanno dell’attività agonistica un mercato, un insieme di opinioni tecniche o, peggio, una credenza. Particolarmente emblematico è il celebre racconto biblico del vitello d’oro: «Il popolo, vedendo che Mosè tardava a scendere dalla montagna, si affollò intorno ad Aronne e gli disse: Facci un dio che cammini alla nostra testa» (Es 32). Il racconto rileva come gli uomini, incapaci di attesa e di veglia, quasi rifiutando il vero bene (ben dell’intelletto) e il dono supremo della libertà, siano repentinamente disposti a prostrarsi adoranti innanzi al tiranno, despota incontrastato nell’unica Babilonia: «Il popolo sedette per mangiare e bere, poi si alzò per darsi al divertimento» (Es 32,6). Temperando la sua anima con il logos – spiega Socrate – l’uomo si costruisce.
I mali della psiche nascono soprattutto nelle civiltà del benessere materiale. L’insaziabilità di una fame fisica manifesta il vuoto spirituale di uomini logorati e divorati dalla merce che a loro volta consumano. Quest’uomo, un tempo cittadino, poi suddito, ora è consumatore, vittima di un tempo in cui manca lo scopo, manca la risposta al perché e in cui tutti i valori si svalutano. Gli uomini che giungono ad Olimpia, elevando (trasecolando e trasumanando) i loro volti nella meravigliosa visione che rapisce e chiama a sé, ricordano per diversi aspetti l’ultimo contrappunto de L’arte della fuga di Johann Sebastian Bach. La Fuga a 3 Soggetti, oggetto più di studio interpretativo che di esecuzione, si interrompe enigmaticamente alla battuta 239, seguita da una nota, in realtà niente affatto attendibile, manoscritta in tedesco dal figlio dell’autore: Su questa fuga, dove il nome BACH appare nelle note che formano il controsoggetto, l’autore morì. Alcuni interpreti hanno voluto rintracciare nell’apparente incompiutezza della fuga interrotta il testamento spirituale dell’autore e, nei 3 soggetti della fuga, le 3 persone della Trinità. Secondo questo tipo di interpretazione, se noi ravvicinassimo le ultime note (B/sib; A/la; C/do; H/si), esse formerebbero insieme una croce greca verso cui l’autore ci inviterebbe a procedere, “in fuga” all’Infinito (cfr. Giuseppe Barzaghi, La Trinità: mistero giocato tra i riflessi). Bach sembra quasi darci conferma del mistero e della verità ineffabile che già ritroviamo nascosti nei versi del Sommo Poeta, in cui l’homo viator vede dipinta l’effige umana in quell’alto lume di tre colori e d’una contenenza, che è la Trinità del Dio unico e vero (Par XXXIII, 116-117).
Sia il terzo gruppo di uomini giunti ad Olimpia, sia la fuga interrotta del genio musicale, sia i versi della Divina Commedia sono tutti dentro la partecipazione di una trascendenza (facie ad faciem), per cui, con Agostino, diciamo: «Io conoscerò te che mi conosci, io ti conoscerò come tu mi conosci. Tu, potenza dell’anima, entra in lei, portala alla tua altezza, perché senza macchia né ruga ti si offra a esser posseduta» (Conf. X, 1.1).